Per un sistema sanitario pubblico e nazionale, contro ogni autonomia differenziata

La drammatica pandemia da Covid19 di questi mesi ha messo sotto i riflettori un Servizio Sanitario Nazionale assolutamente decisivo per affrontare l’emergenza ma anche in grande sofferenza.

Una sofferenza dovuta, soprattutto, ai dieci anni precedenti in cui tutti i governi di centro-destra e centro-sinistra, nessuno escluso, hanno contribuito, come qualcuno ha affermato, a sgretolare quella maestosa opera pubblica costruita per tutelare la salute delle persone che è il nostro SSN e, aggiungiamo, smantellarne l’architrave vitale rappresentato dal personale sanitario pubblico, i tantissimi operatori, medici, infermieri, tecnici, operatori sociosanitari, uomini e donne che oggi sono considerati veri e propri eroi, definizione che declinano volentieri ricordandoci gli anni sofferti di mancato turn over, demansionamento, precarizzazione.

Il finanziamento pubblico, il Fondo Sanitario Nazionale, è stato decurtato (Rapporto GIMBE 2019), solo negli ultimi dieci anni, di oltre € 37 miliardi di euro, di cui circa € 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie e oltre € 12 miliardi nel 2015-2019, quando alla sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate per esigenze di finanza pubblica.

Questo imponente definanziamento è dovuto alla scelta, perpetrata in Parlamento in maniera trasversale, di creare uno spazio per favorire lo sviluppo della sanità speculativa (c.d. privata) oltre che di fronteggiare le emergenze finanziarie del Paese riducendo la spesa sanitaria, tanto da considerare la sanità pubblica come vero e proprio bancomat cui attingere.

La tragedia che abbiamo vissuto, il drammatico periodo che abbiamo affrontato, ha d’altro canto generato un sentimento diffuso, ricostruito un nuovo senso comune intorno alla sanità pubblica, che ha fatto percepire, non solo la salute come un bene comune da tutelare, ma di come la sua gestione in forma pubblica, universale, gratuita faccia la differenza. Un sentimento che dobbiamo coltivare il più possibile e considerare una vera e propria risorsa e una gigantesca leva di un possibile cambiamento.

In questi durissimi mesi abbiamo ripetuto che, anche in questo settore, oltre che in una dimensione più complessiva, nulla dovrà essere uguale a prima.

Per quanto riguarda la sanità, è necessario chiudere con le sciagurate scelte fatte in passato in termini in termini istituzionali (Autonomia Differenziata e la stessa riforma al titolo V della Costituzione); economici (Definanziamento, Privatizzazioni, Welfare aziendale) con delle nostre proposte assolutamente alternative, e ripensare il modello di welfare pubblico che va sì difeso nel suo assetto strutturale ma anche ripensato per far fronte ai nuovi bisogni che si sono affacciati.

Procediamo per punti, sul lato istituzionale ribadire con forza che il servizio sanitario deve essere nazionale e pubblico con una gestione, come previsto dalla Costituzione, da parte delle Regioni, e quindi:

AZZERARE LA PROPOSTA DI REGIONALISMO DIFFERENZIATO:

il Regionalismo differenziato, uno dei temi che nella fase antecedente l’emergenza sanitaria, rischiava – con la pressante richiesta da parte delle Regioni Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, e a seguire altre – un suo arrivo in porto. Anche se in forme più edulcorate rispetto all’epoca del governo giallo verde, mantiene tutta la pericolosità sia sul piano generale con la compromissione del principio dell’eguaglianza tra i cittadini sia sulla stessa capacità dello Stato di tutelare gli interessi dell’intera collettività nazionale: per questo deve essere definitivamente archiviata. Un’evidenza della crisi pandemica è stata, infatti, il fallimento dimostrato in quelle regioni che non solo non hanno dialogato, in un rapporto di leale collaborazione con lo Stato, ma sono entrate in un evidente conflitto volendo difendere un modello sanitario, come nel caso specifico della Regione Lombardia, assolutamente fallimentare, basato sulla privatizzazione selvaggia e su uno smantellamento, risultato micidiale, della sanità del territorio.

È anche sotto gli occhi di tutti la debacle della riforma del Titolo V, del cd federalismo regionale, che ha alimentato la creazione di 20 differenti servizi sanitari ed è fonte di diseguaglianza tra gli stessi (legata a economie regionali più forti e altre più deboli) e in particolare con le regioni dell’Italia meridionale.

CANCELLARE IL WELFARE AZIENDALE:

Sdoganato dal Governo Renzi con la Legge di Stabilità 2016 ha potenziato le agevolazioni fiscali per le aziende che sviluppano l’offerta sia sostitutiva degli aumenti stipendiali o, come avviene sempre più spesso, dei premi aziendali. In ambito sanitario il welfare aziendale è sostanzialmente in molti casi sostitutivo delle prestazioni del SSN. Con esso la collettività si assume costi con una riduzione del gettito, che sono sottratti al sistema di welfare pubblico e il rischio di consumo di prestazioni inappropriate. In pratica ci spingono a destinare i nostri soldi verso il business del welfare privato in modo da smantellare sempre di più lo stato sociale pubblico universale. Riteniamo dunque necessario cancellare tale misura.

Sul lato economico, consideriamo non più rimandabile:

UNO STRAORDINARIO PIANO DI FINANZIAMENTO PUBBLICO:

necessario un grande piano di finanziamento pubblico della sanità. Bisogna concentrare l’attenzione sul rilancio sugli investimenti a lungo termine per rafforzare il servizio sanitario nazionale, in termini di risorse economiche strutturali e umane attraverso contratti stabili e parificati tra pubblico e privato e riassorbendo le esternalizzazioni. E’ necessario puntare con forza sulla ricerca di base e l’innovazione sanitaria e sullo sviluppo di un’industria farmaceutica pubblica in modo da assicurare che non si facciano speculazioni sui brevetti, di salvaguardare l’offerta di farmaci e garantirne prezzi equi e che i “profitti” siano reinvestiti nuovamente in innovazione e ricerca.

Sul lato della riorganizzazione e riqualificazione dei servizi territoriali che è il piano che come Rete delle Città in Comune su cui possiamo dare un contributo ancora più diretto nei tanti territori in cui siamo presenti:

UN IMPONENTE RILANCIO DEL TERRITORIO:

priorità all’investimento sui servizi territoriali e sull’integrazione tra sociale e sanitario, radicale cambiamento nelle politiche pubbliche regionali sia sul versante prevenzione, sia sull’organizzazione delle cure primarie con una riqualificazione dei servizi territoriali. Il che significa dotarsi di nuovi modelli e strumenti:

Le Case della Salute, che dovranno assumere un ruolo centrale nella riorganizzazione dei servizi sociali e sanitari assicurando un punto unitario di accesso alla rete integrata dei servizi e garantendo una presa in carico complessiva della persona.

Dovranno avere come obiettivi prioritari: la garanzia dell’equità nell’accesso ai servizi sanitari e sociosanitari territoriali con la massima facilitazione e semplificazione dei percorsi assistenziali; l’organizzazione e il coordinamento delle risposte da dare al cittadino nelle sedi più idonee privilegiando la domiciliarità e il contesto sociale delle persone e valorizzando la progettualità della comunità locale; l’integrazione istituzionale e professionale dei servizi e delle prestazioni di prevenzione, di servizio sociale, assistenza sanitaria e riabilitazione funzionale, educazione e promozione della salute; la valorizzazione dell’attività interdisciplinare e l’integrazione operativa fra le prestazioni sanitarie e quelle sociali; la sanità di iniziativa. Nella casa della salute deve essere assicurata la partecipazione dei cittadini e delle cittadine alla valutazione dei bisogni, alla definizione delle progettualità, alla valutazione di impatto delle iniziative rispetto agli obiettivi individuati.

Fondamentale, all’interno della riqualificazione dei servizi di cura territoriali (assistenza domiciliare integrata, consultori, non autosufficienza, cronicità, disabilità, salute mentale, ecc.) con le dovute risorse umane, le necessarie figure professionali, i dovuti finanziamenti e il ricorso alle innovazioni che le tecnologie della moderna medicina permettono di mettere in campo.

Modificare il modello delle Residenze per Anziani, che è esploso con l’emergenza sanitaria. Sono migliaia le persone anziane decedute, lasciate morire, moltissime in RSA, e tra le ragioni principali c’è il fallimento dell’attuale modello di gestione privata di tali strutture. Consideriamo, quindi, non più rinviabile proporre un diverso modello che, oltre a prevedere una revisione dei parametri sull’accreditamento, metta urgentemente a tema la loro ripubblicizzazione.

Questi gli impegni di natura più strategica, poi c’è il tema urgente di come affrontare la cosiddetta Fase 2. In questo caso, riteniamo necessario affrontare questa fase attraverso una sorveglianza epidemiologica con criteri uniformi e una strategia basata sulle cosiddette tre T: Testare, Tracciare, Trattare. Il governo e la gestione di questa strategia devono essere completamente pubblici (questione test e tamponi e app). Altro aspetto è quello della sicurezza della salute delle lavoratrici e dei lavoratori con gli adeguati dispositivi di protezione individuali e delle distanze interpersonali e, ancora, la sorveglianza attraverso un potenziato ruolo dei dipartimenti di prevenzione, il riconoscimento del rischio biologico dell’infezione da Covid-19 tra gli infortuni sul lavoro.

Rete delle città in comune

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