Le Città in comune sono un modello o un ostacolo?

Nel loro incalzante succedersi, i sommovimenti politici nei paesi europei segnalano contrasti e diversificazioni che allo stato non sembrano depositarsi con precisione, né stabilizzarsi in un qualche esito.

Tra i minacciosi presagi del referendum britannico e la sofferta frenata della sinistra spagnola, tra le inquietanti avanzate delle destre francesi e la strenua resistenza del governo greco. Nel loro frenetico alternarsi e sovrapporsi rappresentano non altro che l’acuta e ormai matura contraddizione che attraversa il quadro politico europeo. Tratteggiano le diverse, a volte opposte, direzioni verso cui potrebbe svilupparsi la protesta contro l’insostenibilità sociale che tormenta il continente, ferreamente imprigionato dal modello liberista imposto dalle oligarchie finanziarie. Ed è lo scontro tra questi processi che determinerà non soltanto i destini dell’Unione europea, ma le stesse prospettive storiche con cui saremo chiamati a misurarci.

Anche nel nostro paese si avvertono i riflessi di questo cruciale passaggio politico, soprattutto nella vistosa crisi di consenso del Pd alle recenti elezioni amministrative. A cui non ha tuttavia corrisposto una sufficiente crescita delle liste di sinistra, in buona parte fagocitate dall’impetuosa avanzata del movimento cinquestelle, che amaramente ci consegna la nostra insufficienza nel non riuscire a intercettare (o non più di tanto) il disagio sociale, la protesta politica e la collera civile. E a tal proposito dovremmo impietosamente interrogarci sulle ragioni delle nostre difficoltà a non essere percepiti e riconosciuti come una forza d’alternativa, capace di offrire risposte adeguate e credibili.

Per di più, come inesorabilmente succede all’indomani delle diverse elezioni in cui tanti e tante di noi generosamente s’impegnano, anche stavolta si avverte il rischio di veder accantonare, o quanto meno indebolire, le esperienze delle liste uniche e unitarie, con il relativo avvilimento delle comunità sociali che l’hanno animate. Quasi fossero un ingombro, un impaccio rispetto a percorsi predeterminati, che per evitare contaminazioni tendono a lasciarle inaridire o, in alcuni casi, tentano di renderle conformi e sussumerle al proprio interno.

Non si sa quanto agita intenzionalmente o quanto ormai sia un risucchio fisiologico, ma anche questa volta sembra prevalere quella dannosa deriva a rifugiarsi nei proprie ridotte, consolarsi nelle proprie ingannevoli certezze. Con la conseguenza di deludere e mortificare gli slanci più vitali e intraprendenti che provengono dai territori, dalle città, a volte già minati da cronici risentimenti e istinti d’abbandono.

Ritorna insomma quel malinteso intento egemonico, quelle tentazioni colonizzatrici, quelle sterili concorrenzialità che sono tra le ragioni della nostra stentata crescita. Già sono visibili almeno un paio di traiettorie tra loro confliggenti, da cui è facile prevedere il seguente, tragico dualismo politico. Tra chi invocherà una soluzione in forma partito, portandosi dietro la grigia ambiguità del rapporto con il Pd, e chi verrà trascinato in un’irresistibile scia leaderistica, che brandirà intransigenze, radicalità, alternatività. Ed è desolante assistere a tutto ciò, quando ormai si dovrebbe aver capito che la sinistra futura, quell’auspicato quarto polo, o sarà il coagulo intelligente e rispettoso delle diverse energie e sensibilità, oppure non sarà altro che un ininfluente residuo storico.

Va da sé che in tale quadro, le realtà più consapevoli e dinamiche, quelle più legate alle pratiche sociali, quelle più intellettualmente esigenti, rischiano di essere schiacciate, se non disperse. O malvolentieri costrette ad affiancarsi a uno dei due processi in corso. Ed è un destino che al contrario andrebbe energicamente contrastato. Come, dove e quando, è ancora tutto da discutere. Sebbene le esperienze più convincenti della sinistra europea, al contrario del nostro paese, costruiscano nuove forme e nuove appartenenze proprio salvaguardando, non solo il proprio pluralismo, ma la necessità stessa di comprendere al loro interno l’insieme delle varie soggettività.

Da queste considerazioni (da queste e da molte altre ancora), emerge l’esigenza di un incontro che provi ad avviare una prima riflessione, uno scambio di esperienze, un primo confronto tra chi l’alternativa l’ha avviata in quest’ultimo passaggio elettorale, chi l’ha fatto negli anni scorsi e chi, tanti e tante ancora, intende vivere da protagonista i prossimi processi costituenti: senza contrapposizioni ma neanche subalternità. Un’iniziativa insomma di natura preventiva allo scopo di contrastare rischi, devianze e patologie politiche. Vediamoci a Roma il 9 luglio.

29.06.2016

Fabio Alberti, Adriano Labbucci, Sandro Medici

Nelle città in comune c’è ancora vita e si replica – Il Manifesto 21/7/2016